Doktoro Esperanto
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Priskribo
DOKTORO ESPERANTO
Scritto e interpretato da Mario Migliucci, regia Giancarlo Fares, aiuto regia Simona Parisini.
Il Doktoro Esperanto è Lejzer Ludvik Zamenhof e questa è la sua storia. La storia di un uomo che vuole dare al mondo una voce di tutti senza uccidere le voci di ciascuno, una voce umana. Come un laborioso artigiano, il doktoro esperanto, l’omino con gli occhiali, fabbrica il suo strumento e lo offre a chiunque lo voglia adoperare. Ma una lingua è uno strumento particolare, non si crea dall’oggi al domani..
Questa è una storia fatta di torri e di uomini che le costruiscono.
Come altri uomini prima di lui, Lejzer abbandona la pietra e sceglie il mattone. Come altri uomini che prima di lui hanno cercato il cielo, come altri che dopo di lui lo cercheranno.
I mattoni di Lejzer sono parole e la sua lingua è l’esperanto.
Doktoro Esperanto nasce da un laboratorio di teatro di narrazione diretto nel settembre 2005 dal regista Giancarlo Fares. Il tema attorno al quale il lavoro si svolgeva era I muri del mondo. Una volta passati in rassegna le numerosa mura che nella Storia hanno segnato e segnano ancora confini tanto arbitrari quanto invalicabili, ci siamo soffermati col pensiero a una linea di demarcazione più naturale, ma non meno discriminante: il confine linguistico.
Un muro, quello linguistico, che gli uomini hanno cercato di aggirare da sempre per stabilire relazioni, per educare a una fede, per intraprendere commerci. Nel corso dei secoli, però, la varietà degli idiomi ha dovuto sottostare alla legge del più forte. La lingua più forte, legata all’entità politica più potente e al mercato più ricco, ha inevitabilmente prevalso su tutte le altre. Dal latino dell’impero romano all’inglese di oggi, tanto globalizzato quanto “mal parlato”. Tuttavia la conoscenza del maggior numero possibile di lingue resta elemento fondamentale nella formazione di una persona, strumento prezioso e necessario per uscire dal guscio di una ristrettezza geografica, ponte necessario per oltrepassare i confini della propria identità.
Su questo ponte, sorretto dalla forza di un ideale più che da arcate di cemento, ha camminato un uomo, Lejzer Ludvik Zamenhof, iniziatore verso la fine dell’ottocento della lingua Esperanto, chiamata così dal suo pseudonimo, Doktoro Esperanto.
Sulla scia di altri illustri pensatori (Comenio, Cartesio, Leibniz) Zamenhof elabora gradualmente il suo progetto di una lingua universale, o meglio internazionale, perché senza pretesa alcuna di soppiantare le lingue, e le identità, esistenti al mondo. Una lingua, l’esperanto, che andasse oltre le differenze stratificatesi nei secoli di storia e cercasse soprattutto le risonanze e su queste poggiasse le sue fondamenta. Con la complicità di suo zio Joseph, eccelso linguista, con il sostegno più o meno volontario di suo padre, Lejzer forgia il suo strumento e lo mette a disposizione degli uomini di buona volontà pronti ad adoperarlo. Fino alla prossima guerra almeno, fino alla prossima catastrofe.
Il racconto si è sviluppato grazie al fondamentale incontro con la biografia di Zamenhof, firmata da Vitaliano Lamberti: Una voce per il mondo. Lejzer Zamenhof, il creatore dell’esperanto. (Mursia 1991) e con il ricco e intenso epistolario dello stesso Doktoro Esperanto.
Il lavoro, seppure come detto nato all’interno della ormai riconoscibile e collaudata forma di teatro narrazione, se ne distanzia in parte nella misura in cui l’attore – narratore si confonde e mimetizza con l’attore – personaggio, portando avanti la storia non solo presentandola da un punto d’osservazione esterno, ma passando attraverso le emozioni e le questioni che la trama offre.
Lo spettacolo ha debuttato a Roma al Teatro dell’Orologio nel mese di marzo 2007 , nell’ambito della 3° edizione della rassegna Narratori.
